APPLICAZIONE ARTICOLO 54 DEL D.P.R. N. 1092 DEL 1973 AL PERSONALE MILITARE

L’articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 disciplina le modalità di calcolo della pensione dei militari nel sistema retributivo, prevedendo delle condizioni più favorevoli rispetto ai dipendenti statali civili (di cui all’art. 44 del medesimo decreto) in ragione della maggiore usura del lavoro prestato dai primi.

In particolare, l’art. 54 prevede che detto personale ha diritto al 44% della base pensionabile (di cui al precedente art. 53) al raggiungimento di 15 anni di anzianità utile. Tale percentuale resta invariata sino a 20 anni utili e riprende a crescere dal 21° anno nella misura dell’1,80% annuo1, fino al massimo dell’80%2.

Lo stesso articolo prevede altresì che, ove il militare cessi dal servizio per raggiungimento del limite di età senza aver maturato l’anzianità prevista dall’art. 52, primo comma (ossia 15 di servizio utile, di cui 12 di servizio effettivo), la pensione è pari al 2,20% della base pensionabile per ogni anno di servizio utile.

Pertanto, l’aliquota di rendimento annuale – che si moltiplica per gli anni di servizio utili maturati nel sistema retributivo onde ottenere la percentuale complessiva che, applicata alla base pensionabile, determina l’importo della quota retributiva della pensione – si determina dividendo il predetto 44% per 15 anni, ottenendo il valore del 2,93%3.

Tale ultima misura è stata confermata da numerose sentenze delle Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, anche in sede di appello, emanate nel triennio 2018 -2020 in accoglimento di ricorsi presentati dai militari avverso i provvedimenti pensionistici adottati dall’INPS, che invece prevedevano l’aliquota del 2,33%.

A seguito, tuttavia, di due pronunce con cui la Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana ha respinto altrettanti ricorsi presentati da ex militari, la questione controversa è stata rimessa allo scrutinio delle Sezioni Riunite, essendo stato ritenuto sussistente il presupposto del contrasto giurisprudenziale orizzontale di appello.

Le predette Sezioni Riunite, con sentenza n. 1/2021/QM/PRES-SEZ depositata il 4 gennaio 2021, hanno stabilito che:

  • la norma applicabile al personale militare in materia è l’art. 54, come del resto si evince chiaramente dalla lettera della rubrica del Capo II, intitolato, appunto, al personale militare;
  • la legge 335 del 1995 ha modificato tacitamente la portata del primo comma del menzionato art. 54, fissando lo spartiacque del sistema pensionistico fra misto e retributivo ai 18 anni di anzianità contributiva utile al 31 dicembre 1995, superando così il criterio dei 15 e 20 anni previsto dal predetto articolo e sancendo che la “quota retributiva” della pensione da liquidarsi con il sistema “misto”, in favore del personale militare che al 31 dicembre 1995 vantava un'anzianità ricompresa tra i 15 ed i 18 anni, va calcolata con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile determinato nel 2,445%.

L’INPS si è quindi adeguata al suddetto indirizzo interpretativo con la circolare n. 107 in data 14 luglio 2021, che ha disposto il riconoscimento della più favorevole aliquota di rendimento annuo del 2,44%, da utilizzare per la liquidazione delle future pensioni militari e per la riliquidazione di quelle già in erogazione, con corresponsione degli arretrati nei limiti della prescrizione quinquennale e fatte salve le diverse statuizioni delle sentenze passate in giudicato.

Le Sezioni Riunite della Corte dei conti si sono nuovamente pronunciate in materia, statuendo che la predetta percentuale di incremento annuale va applicata anche ai militari che vantavano un’anzianità utile inferiore a 15 anni alla data del 31 dicembre 1995.

L’INPS si è conseguentemente uniformata con l’emanazione della circolare 29 dicembre 2021, n. 199, in continuità con la linea dettata dalla citata circolare n. 107.

Il descritto arresto giurisprudenziale si è basato, dunque, esclusivamente sull’evoluzione normativa che ha riformato, tra gli altri, il richiamato D.P.R. del 1973, in una prospettiva di contenimento della spesa pensionistica, essenzialmente riconducibile alla legge 8 agosto 1995, n. 335 (c.d. “Riforma Dini”).

Non può farsi a meno di rilevare, tuttavia, che le Sezioni Riunite, nell’esprimere il proprio orientamento nomofilattico, non hanno tenuto conto della riforma anteriore alla citata legge n. 335 introdotta dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (c.d. “Riforma Amato”).

Ed invero, i militari che al 31 dicembre 1995 hanno maturato un’anzianità utile pari o superiore a 18 anni, salvaguardati dalla “Riforma Dini” con la permanenza nel più favorevole sistema retributivo in ragione dell’anzianità e dei diritti acquisiti a quella data, sono tuttora assoggettati sia da parte delle Amministrazioni che dall’INPS all’aliquota del 2,33%, ai fini del calcolo dell’importo della quota retributiva, in luogo di quella più conveniente (2,445%).

Studio Legale Avv. Fausta di Grazia e Avv. Mario Manca


(1) Per i militari dei ruoli sub direttivi dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di finanza era previsto un incremento annuale del 3,60% oltre il 20° anno, ma tale misura è stata ridotta al 2% a decorre dal 1° gennaio 1998.

(2) La percentuale dell’80% quale massima anzianità contributiva è stata superata dall’introduzione dei nuovi requisiti minimi per il diritto a pensione introdotti del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165.

(3) Agli statali “civili”, ai sensi del citato art. 44, spetta invece il 35% dopo 15 anni di servizio effettivo, da cui un’aliquota del 2,33% annuo (35%:15), mentre il 44% si raggiunge a 20 anni utili.

 

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